In sede di dichiarazione di successione i fabbricati rurali, come individuati ai sensi dell’articolo 9, commi 3 e 3-bis, D.L. 557/1993, devono essere dichiarati con indicazione della relativa rendita catastale, tuttavia, il valore imponibile da esporre è pari a zero.
Questo è lo scenario che si viene a determinare quando erede è un soggetto che comunque è in possesso dei requisiti richiesti affinché l’immobile sia considerato rurale, abitativo o
strumentale che sia.
Al contrario, in tutte le altre situazioni, è di tutta evidenza come si dovrà procedere a dichiarare l’immobile quale urbano, con conseguente valorizzazione dello stesso utilizzando i criteri previsti dall’articolo 34, D.Lgs. 346/1990.
In tal senso depone la risoluzione AdE 207/E/2009; ma vediamo il perché.
Innanzitutto si ricorda come si considerano immobili rurali abitativi, ai sensi dell’articolo 9, comma 3, D.L. 557/1993 i fabbricati, iscritti in Catasto nelle categorie A/1 o A/8, utilizzati quale abitazione, alternativamente:
Inoltre, viene richiesto il rispetto:
Per quanto riguarda i fabbricati rurali strumentali, il requisito richiesto è che l’immobile sia necessario per lo svolgimento di un’attività agricola di cui all’articolo 2135, cod. civ..
Per effetto di quanto previsto dall’articolo 9, D.L. 557/1993 richiamato, con il preciso intento di creare un inventario il più possibile completo del patrimonio edilizio, tali immobili rurali dovevano essere iscritti nel Catasto edilizio urbano con attribuzione di rendita catastale, fermo restando il mantenimento della loro natura rurale.
Tuttavia, in ragione dell’asserito mantenimento della natura rurale del fabbricato, non viene modificata la natura del reddito dominicale dei terreni, e soprattutto la sua copertura che ricomprende anche la redditività riferibile alle costruzioni rurali a essi asservite.
In tal senso depone anche la precedente circolare 50/E/2000 con cui l’Amministrazione finanziaria ha avuto modo di affermare come la rendita assegnata ai fabbricati rurale rileva in via autonoma esclusivamente nel momento in cui l’immobile non si può più considerare rurale in quanto vengono meno i requisiti di cui ai commi 3 e 3-bis richiamati.
La rendita catastale assegnata ai fabbricati rurali, quindi, fintantoché sussistono i requisiti per poterlo considerare come tale, avrà solamente la funzione di indicare la potenzialità reddituale dello stesso, rimanendo la redditualità ricompresa nel reddito dominicale del terreno cui l’immobile è asservito.
L’Agenzia delle Entrate, nella risoluzione 209/E/2008, afferma come dall’asserito mantenimento, in capo all’immobile, a prescindere dalla sua iscrizione con attribuzione di rendita nel Catasto urbano, della sua natura rurale, deriva che in sede di dichiarazione di successione dovrà essere indicata la rendita catastale attribuita al fabbricato, ma il valore da dichiarare sarà pari a zero in quanto, in caso contrario , si andrebbe a dichiarare una seconda volta un valore già dichiarato con il terreno cui l’immobile è asservito.
Attenzione che questa situazione si viene a determinare solamente nell’ipotesi in cui l’erede del de cuius, come anticipato, risponde ai requisiti richiesti rispettivamente dai commi 3 e 3-bis dell’articolo 9, D.L. 557/1993.
Ad esempio, il valore da dichiarare riferito a una stalla, sarà pari a zero quando l’erede anch’esso utilizzerà l’immobile a fini strumentali della propria attività agricola o, in alternativa, lo concederà in locazione a un soggetto che lo destinerà a tali fini. In caso contrario, il valore da dichiarare sarà quello di cui all’articolo 34, D.Lgs. 346/1990.
Fonte www.ecnews.it